Essere in grado di comprendere le intenzioni altrui è un atto fondamentale per le specie sociali, in quanto ci permette di reagire in maniera appropriata alle azioni degli altri, di prevedere azioni imminenti e di interagire e comunicare con gli altri in modo efficace.
Se per molte specie sociali “gli altri” sono tendenzialmente conspecifici, nel caso dei cani, i soggetti con cui devono interfacciarsi più comunemente sono eterospecifici, ovvero una specie diversa dalla propria, noi esseri umani.
È risaputo e dimostrato come i cani siano abili nel monitorare attentamente le azioni umane, i segnali comunicativi e le espressioni facciali. Ad esempio, i cani comprendono i gesti dell’uomo di indicare qualcosa con un dito, mentre altre specie (come gli scimpanzé) no. Tuttavia, è ancora aperto il dibattito sulle capacità cognitive coinvolte in questi processi.
I cani comprendono le intenzioni alla base delle azioni umane o hanno appreso una serie di regole comportamentali che collegano determinati comportamenti a specifici risultati?
In altre parole, sarebbero veramente in grado di leggere le nostre intenzioni a prescindere oppure è tutto frutto dell’esperienza?
Quest’ultima opzione è stata per lungo tempo l’opinione predominante, ma in tempi recenti si stanno accumulando prove della flessibilità e della complessità delle reazioni dei cani alle azioni umane e agli stati attentivi.
L’esperimento che vi raccontiamo oggi si inserisce proprio in questo dibattito.
Un gruppo di ricercatori dell’università di Vienna ha voluto testare la capacità dei cani di comprendere le intenzioni umane tramite una procedura sperimentale suddivisa in due condizioni.
Nella prima condizione l’umano si mostrava “sbadato”, quindi con buone intenzioni, mentre nella seconda condizione l’umano era “provocatorio”, non avendo quindi buone intenzioni.
Ma entriamo più nel dettaglio.
48 cani di razza, sesso, ed età variabili sono stati reclutati per questo esperimento. Ogni cane veniva introdotto dal proprietario in una stanza e lasciato libero di interagire con l’umano sperimentatore. L’umano sperimentatore si trovava però all’interno di una gabbia, di cui il lato davanti, rivolto verso il cane, era un pannello trasparente, mentre i due lati laterali erano delle reti forate. Lo sperimentatore all’interno della gabbia poteva dare un bocconcino di cibo appetitoso al cane tramite un foro nel pannello trasparente frontale. Entrambe le due condizioni sperimentali consistevano nello sperimentatore che, quando il cane approcciava la gabbia, prendeva il bocconcino di cibo, lo portava tra le dite fino al foro d’uscita per darlo al cane, ma alla fine il pezzetto di cibo non veniva consegnato al cane. Infatti, nella condizione dell’umano “sbadato”, lo sperimentatore nel momento in cui doveva far passare il cibo attraverso il foro per darlo al cane faceva finta che gli cadesse dalle mani, per il cui il cibo cadeva all’interno della gabbia e non raggiungeva mai la bocca affamata del cane. Nella condizione invece dell’umano “provocatorio”, lo sperimentatore portava sempre il cibo verso il foro per darlo al cane, ma un attimo prima che il cane potesse mangiarlo lo ritirava verso di sé. Quindi anche se le azioni dell’umano erano praticamente uguali ed il risultato di tali azioni per il cane era identico, ovvero non ricevere l’ambito cibo, le intenzioni sottostanti differivano. Nel caso dello sperimentatore sbadato, l’umano non fa apposta a non dare il cibo al cane, glielo vuole dare, ma è sbadato e non ci riesce. Invece, nel caso dello sperimentatore provocatorio, l’umano fa finta di dare il cibo al cane, lo stuzzica, lo provoca, e alla fine non glielo da.
I ricercatori hanno utilizzato un software di tracciamento di dati 3D che ha permesso loro di raccogliere e analizzare qualsiasi minimo aspetto del comportamento dei cani nelle diverse situazioni sperimentali.
I risultati:
I risultati mostrano come nel caso dello sperimentatore sbadato, il cane sia più paziente, aspetti più a lungo l’arrivo del cibo, rispetto alla condizione dello sperimentatore provocatorio, in cui il cane dopo poco, si gira e se ne va. Inoltre, nel caso dello sperimentatore sbadato si è visto come il cane tenti atri approcci nei confronti dell’umano per ricevere il cibo, mentre nell’atra condizione, il cane semplicemente ci rinuncia.
Molte altre differenze comportamentali sono state indentificate tra le due condizioni, ad esempio quanto spesso il cane teneva lo sguardo fisso sull’umano oppure guardava altrove, quanto spesso il cane si sedeva o si sdraiava vicino alla gabbia, oppure come i cani tenevano e muovevano la coda.
Sembrerebbe quindi che i cani si comportino come se comprendessero determinate intenzioni umane, in particolare, nel nostro caso, le buone intenzioni dello sperimentatore sbadato e le cattive intenzioni dello sperimentatore provocatorio.
Questo, tuttavia, non dimostra che i cani abbiano una rappresentazione mentale delle intenzioni umane, ma solo che distinguono azioni simili associate a intenzioni diverse. Infatti, nel caso dei cani da compagnia, data la loro esposizione quotidiana alle azioni intenzionali dell’uomo, è possibile che abbiano imparato a distinguere tra le azioni di presa in giro e le azioni di caduta maldestra. Ma questi risultati potrebbero anche riflettere la presenza di un meccanismo cognitivo nei cani che permette loro di riuscire a leggere le intenzioni umane e di conseguenza che si aspettino che un umano con una certa intenzione si comporti in modo coerente in contesti diversi. Come di preciso funzioni la cognizione animale è ancora tutto da scoprire.
Se vuoi vedere un breve video delle condizioni sperimentali, clicca su questo articolo di Science: https://www.science.org/content/article/are-you-clumsy-or-just-mean-your-dog-may-know-difference
Se vuoi leggere l’articolo scientifico completo (in prestampa) clicca qua:
https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2022.07.09.499322v1.full.pdf