A chi non capita di parlare al proprio cane utilizzando acute vocine ed emettendo versetti stupidi e carini?!
Ma perché lo facciamo, e soprattutto, cosa implica nel cane?
Quello che in gergo viene chiamato “motherese” (da mother=mamma) è un registro vocale particolare, caratterizzato da un’elevata intonazione, con contorni esagerati, e da un’elevata affettività.
Viene usato in tutte le lingue, in particolare dalle mamme rivolgendosi ai figli piccoli. Sembra che questo linguaggio diretto al bambino faciliti lo sviluppo linguistico dei neonati, amplificando le caratteristiche fonetiche delle vocali della lingua madre, consenta ai neonati di selezionare partner sociali appropriati e aumenti il legame sociale tra il bambino e il caregiver.
Da quando i cani pet si sono diffusi nella cultura occidentale e sono diventati veri e propri membri della famiglia, questo fenomeno si è sviluppato anche nei loro confronti.
Infatti, gli esseri umani producono un registro vocale speciale quando parlano con i loro animali domestici.
Questo modo di parlare diretto agli animali domestici condivide molte delle caratteristiche acustiche di quello rivolto ai bambini, tra cui un’intonazione elevata ed un affetto esagerato, caratteristiche non presenti nel modo di parlare che viene rivolto agli adulti.
È possibile che la funzione dell’intonazione elevata sia quella di attirare l’attenzione dell’ascoltatore, mentre l’affetto esagerato serve per soddisfare i bisogni emotivi dell’ascoltatore. Una caratteristica che invece non risulta condivisa tra il modo di parlare diretto ai cani e quello diretto ai bambini è l’iper-articolazione delle vocali, presente ovviamente solamente quando ci si rivolge ai bambini, con l’obiettivo di favorire l’acquisizione del linguaggio parlato.
Diversi studi scientifici, dopo aver dimostrato l’utilità dell’utilizzo del motherese con i bambini, hanno indagato le loro preferenze.
Bambini a partire da solo 2 giorni di vita mostrano preferenze e maggiore reattività affettiva verso il motherese piuttosto che il classico modo di parlare agli adulti.
E i cani invece?
Preferiscono anche loro il modo di parlare diretto ai piccoli oppure siamo noi spontaneamente che utilizziamo questo linguaggio senza che però abbia effettivamente un effetto sui nostri pet?
Lo studio scientifico di oggi ci chiarisce proprio questo.
I ricercatori inglesi hanno coinvolto una quarantina di cani pet per indagare se ci fosse una differenza tra le preferenze mostrate per il modo di parlare diretto ai piccoli o il modo di parlare diretto agli adulti.
L’esperimento era molto semplice: ai cani sono stati presentati due sperimentatori con altoparlanti audio sulle loro ginocchia che riproducevano o il linguaggio da piccoli o il linguaggio da adulti.
Successivamente è stata misurata l’attenzione dei cani verso ciascun sperimentatore durante il discorso, e, dopo la fine del discorso, quanto tempo i cani passavano più vicino ad uno sperimentatore piuttosto che l’altro.
I risultati:
I risultati indicano come i cani mostrano una preferenza comportamentale per il modo di parlare diretto ai piccoli rispetto al modo di parlare diretto agli adulti. I cani, in media, hanno trascorso più tempo a guardare verso lo sperimentatore del linguaggio motherese rispetto allo sperimentatore del linguaggio da adulti.
Si è inoltre visto che quando è stata data l’opportunità di interagire con gli sperimentatori, i cani hanno scelto di trascorrere più tempo in prossimità dell’oratore del motherese rispetto a quello del linguaggio per adulti.
Questi risultati suggeriscono che il modo di parlare diretto ai piccoli, utilizzato anche verso i cani, volgere una duplice funzione: migliorare l’attenzione e aumentare il legame sociale.
Questo è in linea con i risultati sui neonati, che suggeriscono non solo che il motherese serve a facilitare l’acquisizione del linguaggio, ma che è anche cruciale per lo sviluppo di relazioni sociali significative con i caregiver.
Resta ancora da indagare l’effetto che ha l’uso del motherese verso i cani sulla persona che lo utilizza. Infatti, non è ancora chiaro se questo particolare linguaggio verso i cani sia una generalizzazione non funzionale di quello verso i bambini nelle culture occidentali, dove gli animali domestici hanno spesso lo status di neonati, o se abbia la funzione di ottenere l’attenzione degli animali domestici e rafforzare il legame affiliativo tra gli esseri umani e i loro animali.
Referenze:
Alex Benjamin, Katie Slocombe. ‘Who’s a good boy?!’ Dogs prefer naturalistic dog-directed speech. Animal Cognition, 2018; DOI: 10.1007/s10071-018-1172-4