Di recente mi è capitato di raccontare a dei ragazzi alcuni aspetti del nostro lavoro, spiegando l’esistenza di diversi approcci e di scuole di pensiero nell’abito dell’educazione cinofila. Mi è capitato spesso di usare il termine “coercizione”, ovvero tutti quei metodi che usano la forza per costringere il cane a fare o non fare qualcosa. Questo approccio è ovviamente ciò che di più lontano esista da come qui al CSC viviamo il comportamento e la relazione con il cane. Eppure, tante persone, proprietari o meno, non hanno ancora ben chiaro di cosa si tratta e soprattutto quali sono le implicazioni e le conseguenze di tali approcci.
Cosa sono i metodi coercitivi
Con metodi coercitivi intendiamo quei metodi che usano la forza per costringere qualcuno a fare qualcosa; il “Treccani” (che ovviamente è il dizionario italiano più amato dai cinofili!), li definisce “metodi che limitano gravemente la libera volontà”. Parlando in termini cinofili, stiamo parlando di tutte quelle pratiche che prevedono l’uso sul cane di correzioni e limitazioni fisiche e psicologiche. Se l’esempio più lampante di coercizione è l’estrema punizione positiva, ad esempio picchiare il cane perché ha fatto qualcosa che secondo noi non andava, sappiate che di coercizioni più blande e subdole ne è pieno il mondo cinofilo (vedi ad esempio collare a strozzo, strattoni correttivi o l’isolamento sociale). Subdole, perché sono tutt’ora utilizzate sia da proprietari che da sedicenti professionisti e soprattutto sono pratiche normalizzate. Proprio alla luce di questa varietà di posizioni e approcci sui metodi di addestramento ed educazione, aleggia sempre un po’ nell’aria l’idea che non vi sia consenso neanche all’interno della comunità scientifica. E invece il consenso c’è, eccome!
Gli scienziati concordano sugli effetti negativi della coercizione
Una recente review (leggi qui) ha analizzato diversi studi scientifici che confrontavano metodi coercitivi con metodi basati sul rinforzo positivo o punizione negativa. Gli studiosi sono giunti alla conclusione che “i metodi di addestramento avversivi hanno esiti indesiderati e il loro utilizzo mette a rischio il benessere dei cani”. Inoltre, sebbene l’uso di punizioni positive possa essere efficace, non è dimostrato che sia più efficace di tecniche basate sul rinforzo positivo. Il contrario è invece dimostrato per l’uso di metodi basati sulla ricompensa, sia per quanto riguarda cani da compagnia che cani da lavoro. Già nel 2004, uno studio (leggi qui) arrivava alla conclusione che la punizione è associata ad una maggiore incidenza di comportamenti problematici, rappresentando un problema di benessere dell’animale, senza apportare alcun beneficio nell’obbedienza del cane. Gli autori concludevano suggerendo che “i metodi di addestramento positivi possono essere più utili per la comunità dei proprietari di animali domestici”.
I metodi coercitivi hanno conseguenze dannose per il cane
Le conseguenze dimostrate dell’uso di metodi avversivi includono una maggior tendenza a mostrare aggressività verso altri cani e verso l’uomo, compresi casi in cui l’atto aggressivo viene scatenato proprio dalla punizione ricevuta. Inoltre, causano maggior espressione di comportamenti di paura e comportamenti stereotipati, ovvero quei comportamenti ripetuti, ritualizzati, manifestati senza uno scopo preciso, come ad esempio continuare a rincorrersi la coda o girare in tondo. Hanno inoltre dimostrato che cani che ricevono più punizioni sono anche quelli che manifestano più comportamenti problematici, mentre non è stata riscontrato lo stesso con l’uso dell’addestramento basato sulla ricompensa. L’inibizione di un comportamento problematico in seguito a forte punizione fisica dura solo qualche secondo, ma vi sono gravi effetti a lungo termine, come l’insorgenza di segni di stress, aumento di livelli di cortisolo e frequenza cardiaca per cani. A volte le conseguenze dell’uso delle punizioni sono gravissime: nel 2013, ad esempio, viene riportato un caso di danno cerebrale, dopo l’uso di una tecnica punitiva con un collare a strozzo su un pastore tedesco di 1 anno (leggi qui).
Perché è così difficile convincersi a non usare questi metodi?
Evidentemente tutte queste prove non sono ancora sufficiente per convincere l’intera comunità cinofila sui potenziali danni che metodi coercitivi posso arrecare, ultimi, ma non per importanza, i danni alla relazione uomo-cane. Un’altra recente review (leggi qui) indaga quali possano dunque essere gli ostacoli all’adozione di metodi di addestramento non-coercitivo con i cani. Gli autori arrivano alla conclusione che le cose che influiscono sulla scelta del metodo di addestramento sono:
- la mancanza di conoscenza dei rischi per il benessere del cane,
- la scarsa qualità di molte informazioni disponibili per i proprietari di cani (qualora le cercassero),
- la mancanza di regolamentazione degli addestratori/educatori di cani,
- la scarsa conoscenza teorica e pratica dell’addestramento dei cani.
Allora i cani vanno lasciati senza guida, facendo loro fare sempre ciò che vogliono?
Alla luce di quanto visto, sottolineiamo come ciò non voglia dire che sia necessariamente vietato “sgridare” il cane (ricordando che talvolta anche solo uno sguardo è sufficiente); se ci siamo impegnati a comprendere il cane, a rispettarlo, ad instaurare un rapporto di fiducia reciproca, è nostro diritto e soprattutto dovere mostrargli cosa è meglio per lui/lei e cosa non lo è, come fare e come non fare, in modo che riesca serenamente ad affrontare la quotidianità con tutti i suoi imprevisti. “Sgridare” può far parte del processo educativo, ma importantissima è la coerenza e l’offerta di un’alternativa comportamentale.
La coercizione è figlia di una visione della cinofilia volta unicamente alla performance e alla risoluzione. Il fine ultimo è quello di ottenere il risultato desiderato, ancora meglio se nel minor tempo possibile e con il minor sforzo. Il problema da risolvere o la performance da raggiungere, però, non sono aspetti scissi dal cane, non sono solo dei risultati, ma sono parte del cane. I comportamenti (sì, anche quelli problematici) sono il cane. Per intervenire su un comportamento bisogna prima imparare a leggerlo, e siccome quel singolo comportamento non viaggia da solo, bisogna capire anche gli altri comportamenti, e per capire gli altri comportamenti bisogna capire il cane, e per capire il cane bisogna conoscerlo, e per conoscerlo bisogna instaurare una relazione di fiducia e condivisione reciproca. Com’è possibile dunque instaurare una relazione di fiducia e condivisione reciproca con il cane se gli/le faccio del male?
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
- Ziv. The effects of using aversive training methods in dogs: a review. J. Vet. Behav., 19 (2017), pp. 50-60.
- Hiby, E., Rooney, N., & Bradshaw, J. (2004). Dog training methods: Their use, effectiveness and interaction with behaviour and welfare. Animal Welfare, 13(1), 63-69. doi:10.1017/S0962728600026683
- Grohmann, M.J. Dickomeitet, M.J. Schmidt, M. Kramer. Severe brain damage after punitive training technique with a choke chain collar in a German shepherd dog. J. Vet. Behav. Clin. Appl. Res., 8 (3) (2013), pp. 180-184, 10.1016/j.jveb.2013.01.002
- Todd, Z. Barriers to the adoption of humane dog training methods. J. Vet. Behav. Clin. Appl. Res. 2018, 25, 28–34